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Fabbisogni per la donna durante l’allattamento

Cibi diversi su un tavolo - Fabbisogni per la donna durante l’allattamento

Di Dott. Raffaele Soccio

L’allattamento al seno è la naturale prosecuzione di una gravidanza.
Come in gravidanza anche durante l’allattamento non è necessaria un’alimentazione speciale.

L’alimentazione della nutrice nei primi sei mesi di allattamento (prima dell’introduzione degli alimenti complementari nel lattante) deve soddisfare sia i fabbisogni della mamma che quelli del bambino che sono più elevati rispetto alle richieste del feto in utero.

Nella Tabella 1 sono riassunti gli incrementi delle raccomandazioni dei nutrienti per l’allattamento nelle nutrici italiane. Vediamo la composizione.

 

Tabella 1 - Assunzione raccomandata di energia e nutrienti durante l'allattamento

Tabella 1 - Assunzione raccomandata di energia e nutrienti durante l'allattamento

 

Energia 

Il costo energetico dell’allattamento è dovuto sia al contenuto in energia del latte materno (in genere stimato intorno a 0,7 kcal/g) che all’energia necessaria per la sua sintesi.


Il valore energetico del latte materno dipende soprattutto dalla concentrazione di lipidi e mediamente è stimato in 67 kcal/ 100 gr.


Durante l’allattamento esclusivo al seno (primo semestre di vita del bambino) si indica un fabbisogno energetico aggiuntivo per la nutrice pari a 500 kcal/ die (LARN, 2014).


Una parte del fabbisogno energetico extra può essere sostenuto utilizzando le riserve adipose accumulate durante la gravidanza, sebbene il grado di questa mobilizzazione sia molto variabile da donna a donna.
Si è osservato che le variazioni ponderali più elevate si registrano nei primi tre mesi di allattamento esclusivo al seno mentre la media della perdita di peso nei primi sei mesi è pari a circa 0,8 kg al mese.


Nelle donne sovrappeso è possibile un calo di 2 kg al mese, anche se
i regimi restrittivi dovrebbero essere perseguiti con cautela in questa fase perché è importante continuare a soddisfare le richieste nutrizionali per assicurare il mantenimento di una adeguata produzione di latte.

Attività fisica

Sottoporsi a esercizio fisico intenso per velocizzare il calo di peso può aumentare i livelli circolanti di acido lattico che, passando nel latte può alterarne il gusto.

 

In ogni caso, finché le richieste energetiche continuano a essere soddisfatte, la pratica di attività fisica di media intensità (45 minuti al giorno di camminata) dovrebbe essere incoraggiata per i suoi effetti positivi sulla salute.

 

Nei Paesi industrializzati il problema dell’obesità dilagante riguarda ovviamente anche le donne che affrontano una gravidanza e poi l’allattamento.
Si stanno accumulando dati sull’importanza di affrontare programmi di perdita di peso anche durante l’allattamento in donne in sovrappeso.

 

Questi interventi che combinano una riduzione dell’assunzione calorica di 500 kcal/die con un moderato esercizio fisico si sono dimostrati efficaci non solo per la perdita di peso ma anche per il miglioramento del profilo metabolico relativamente al rischio per le malattie cardiovascolari e il diabete di tipo 2.

 

Per contro bisogna stare attenti perché una dieta restrittiva può influenzare la produzione di latte, particolarmente nelle prime settimane quando il processo di lattazione non è ancora completo. Vero è che prima di compromettere la lattazione le riserve adipose devono scendere molto.

Il rischio di una dieta a basso valore energetico è legato alle sue possibili conseguenze sulla qualità dell’alimentazione della mamma e conseguentemente sulla concentrazione di alcuni micronutrienti nel latte.

In quest’ottica, dunque, la qualità della dieta in termini di proteine e micronutrienti assume un valore fondamentale.
In donne cronicamente malnutrite, e per questo con scarse riserve energetiche, l’allattamento può comunque avere luogo in maniera soddisfacente, nonostante le apparenti condizioni sfavorevoli.

 

Il contenuto di nutrienti nel latte materno inizia a scendere dopo il terzo/quarto mese di lattazione.

Carboidrati

L’apporto di carboidrati nella nutrice deve essere simile a quello delle donne non allattanti, pari quindi al 45-60% dell’energia complessiva, l’80-90% del quale rappresentato da carboidrati complessi.

 

I carboidrati sono preposti a funzioni particolari nel latte umano in quanto favoriscono l’assorbimento del calcio e la produzione dell’acidità dell’intestino. Gli oligosaccaridi determinano lo sviluppo della flora batterica intestinale.

Lipidi

L’assunzione di lipidi è fondamentale durante il periodo dell’allattamento perché può condizionare la crescita del neonato e il suo sviluppo e deve essere simile a quello raccomandato per la popolazione generale: 20-35% dell’energia totale (LARN, 2014).

Per quanto riguarda l’apporto di grassi oltre la quantità è importante la qualità.

In particolare, come poi verrà detto dopo, l’acido docosaesanoico (DHA) è necessario per un corretto sviluppo delle strutture cerebrali e retiniche. 

Proteine

Le donne che allattano rappresentano un gruppo particolarmente esposto al rischio di malnutrizione proteica.

 

Un introito proteico insufficiente potrebbe portare a meccanismi di compensazione atti a conservare la massa magra, basati sulla riduzione della degradazione proteica endogena, meccanismo che si accompagna a ridotta sintesi proteica, con conseguenti effetti potenzialmente dannosi nella composizione proteica del latte.

Così come per la gravidanza anche durante l’allattamento il fabbisogno proteico della mamma deve tener presente anche delle necessità secondarie alla sintesi delle proteine presenti nel latte materno.

Tali necessità proteiche sono elevate soprattutto durante l’allattamento esclusivo.
Per questo motivo la donna che allatta richiede, per tutto il periodo dell’allattamento, un introito proteico per mantenere il bilancio azotato in pareggio o superiore a quello di donne non allattanti (1,1 g/kg di proteine). I LARN 2014 raccomandano un aumento di assunzione giornaliera di 21 g di proteine nel primo semestre di allattamento e di 14 g nel secondo semestre.

Vitamine

I LARN, 2014 raccomandano introiti maggiori di vitamina A, C, tiamina, riboflavina, niacina, vitamina B12 e folati (Tabella 1).

 

Le più comuni carenze vitaminiche nel latte materno sono attribuibili a deficit accumulati nella madre di vitamine idrosolubili, quali tiamina (B1), riboflavina (B2), piridossina (B6) e cobalamina (B12).

 

Al contrario, le concentrazioni delle vitamine liposolubili e della maggior parte dei minerali sono meno influenzate dalle condizioni nutrizionali materne, ad eccezione delle vitamine A e D.

 

La vitamina D merita una menzione speciale. Data l’influenza dell’esposizione alla luce solare per il metabolismo della vitamina D, si pone l’attenzione sul rischio di deficit soprattutto per le etnie con cute iperpigmentata o con scarsa esposizione alla luce solare.

 

I risultati di alcuni studi, ci dicono che con una supplementazione nel primo di 6400 U e nel secondo di 4000 U al giorno, si ottengono buoni livelli di vitamina D nella mamma e nel bambino, senza effetti collaterali.

 

L’assunzione abituale con l’alimentazione è in genere sufficiente, ma può risultare carente, particolarmente in situazioni di maggior fabbisogno solamente in aree e/o paesi in cui le loro fonti alimentari sono ridotte.

Minerali

Iodio

durante l’allattamento si verificano modificazioni nel metabolismo iodico materno in funzione della secrezione lattea, per cui in alcuni paesi europei viene consigliato, nell’allattamento, un aumento del 35% dell’assunzione di iodio con la dieta.

 

Il contenuto ottimale di iodio nel latte materno dovrebbe essere di 100–150 mcg/dl; I LARN 2014 raccomandano un’assunzione giornaliera di 200 mcg durante l’allattamento.

Zinco

è essenziale per un normale sviluppo del feto e del neonato. Infatti, nel colostro i livelli di zinco sono circa 17 volte maggiori che nel sangue materno.

 

Le indicazioni attuali del WHO per l’apporto di zinco in gravidanza e in allattamento variano tra 4,3 e 19 mg/die, dipendendo dai mesi del post-partum e dalla biodisponibilità dello zinco negli alimenti, ma con un livello di adeguatezza di 12 mg/die, così come raccomandato dai LARN 2014.

Ferro

in Europa viene in genere raccomandato che durante l’allattamento venga ridotto l’apporto di ferro (ad eccezione delle puerpere adolescenti), visto che per l’amenorrea conseguente (che può perdurare anche per 6 mesi) viene a mancare l’eliminazione di ferro con la mestruazione (circa 0,5 mg Fe/die).

 

D’altra parte, la secrezione di ferro nel latte è modesta (circa 0,24 mg di Fe/die). I LARN, 2014 raccomandano un’assunzione giornaliera di 11 mg di Ferro. In caso di ricomparsa di mestruazioni incrementare a 18mg/die.

 

La migliore spia della qualità/quantità del latte materno è la crescita del bambino. Se rallenta fino ad arrestarsi saranno necessarie fonti alimentari alternative per il lattante

Gli omega 3 e il consumo di pesce.

Recenti evidenze mostrano che un’assunzione aggiuntiva di 100-200 mg aggiuntivi nella dieta della nutrice è associata con un incremento dei livelli di DHA nel latte materno che sono a sua volta associati a un miglioramento generale delle condizioni di salute del lattante soprattutto in termini di promozione dello sviluppo cognitivo ma anche con una incrementata acuità visiva.

 

Questa quota di DHA (vedi Tabella 2) può essere coperta mediamente con almeno due porzioni a settimana di pesce. Un recente parere dell‘EFSA (2014) sull’argomento rischio/beneficio relativo al consumo di pesce: omega 3/metilmercurio, indica che il consumo di 1-2 fino a 3-4 porzioni di pesce alla settimana riesce a garantire un corretto sviluppo del bambino per il pesce consumato in Europa e non rappresenta alcun rischio.

 

La scelta del pesce deve saper combinare però, allo stesso tempo, pesce relativamente grasso e ricco di EPA e DHA e pesce a basso rischio di contenere i contaminanti ambientali quali il metil-mercurio.

È bene quindi preferire pesce azzurro di taglia piccola (sarde, alici, sgombro) piuttosto che pesci di grossa taglia come tonno e pesce spada, accumulatori di contaminanti.

I benefici sul lattante dell’assunzione di DHA da parte della madre hanno una solida base di letteratura in quanto negli ultimi dieci anni molte organizzazioni hanno prodotto revisioni sistematiche e opinioni di esperti sul ruolo degli n-3 PUFA nella gravidanza e durante l’allattamento.   

 

Globalmente, a partire dal 2000, nove grossi lavori hanno correlato gli effetti dell’assunzione materna di acidi grassi n-3 sulla composizione del latte materno e sullo stato di salute del lattante.   

 

In aggiunta, il consumo di pesce (rispetto ai supplementi) determina l’assunzione anche di tanti altri nutrienti (ad esempio lo iodio), che hanno un ruolo chiave nello sviluppo neurologico del lattante. 

 

Tabella 2 - Contenuto di EPA e DHA in 100g di pesce e quantità di pesce richiesta per fornire circa 1g di EPA e DHA al giorno

Bevande alcoliche 

Vi sono evidenze piuttosto solide che mostrano che l’alcol assunto dalla nutrice si ritrova nel latte materno, che la quantità di latte prodotta è più bassa e minore, quindi, è l’assunzione di latte da parte del bambino. Mentre molto solide sono le evidenze del rischio di consumo (anche moderato) di alcol durante la gravidanza.  

 

Il consumo medio di due drink al giorno si è dimostrato correlato con la compromissione dello sviluppo motorio del bambino rispetto alla astensione dal consumo di bevande alcoliche in bambini di un anno di età. Questi effetti si attenuano nei bambini più grandi (18 mesi) e con dosi di consumo medio da parte delle madri molto più basse.

 

L’esposizione a piccole dosi di alcol nel latte materno determina una compromissione dell’equilibrio sonno veglia del bambino, un aumento della durata del sonno, per la ridotta capacità del neonato di metabolizzare l’etanolo.  

 

Contrariamente a quanto si riporta nella tradizione popolare, il consumo di alcol (birra) non determina una migliore performance della lattazione, anzi al contrario, determina una riduzione della produzione di latte per cui il lattante ha minori disponibilità alimentari nelle 3-4 ore dopo il consumo di alcol da parte della madre.

 

A fronte dei pochi studi sulla correlazione tra consumo di alcol durante l’allattamento e compromissione della crescita post-natale del bambino, va evidenziato che deve essere assolutamente evitata l’esposizione all’alcol allattando il bambino troppo a ridosso del consumo, anche di una singola unità alcolica perché il livello di alcol nel latte materno corrisponde al livello di alcol presente nel sangue della madre.

 

Quindi, il tempo di metabolizzazione dell’etanolo da parte della madre corrisponde anche al tempo che deve passare prima di somministrare al bambino il latte materno per evitare la sua esposizione all’alcol. In genere, si devono aspettare almeno 3-4 ore dopo l’assunzione di un singolo drink per non esporre il lattante all’alcol che inevitabilmente sarebbe presente nel latte materno. È bene non bere alcolici durante l’allattamento. 

Il fumo di sigaretta 

La nicotina può ridurre il volume del latte materno prodotto e inibire il suo rilascio, può inoltre causare irritabilità e riduzione dell’incremento del peso nel lattante.

Le donne che fumano hanno livelli circolanti di prolattina più bassi rispetto a quelle che non fumano; questo determina una riduzione del periodo della lattazione.

 

La concentrazione di vitamina C nel latte delle nutrici che fumano è più bassa rispetto alle non fumatrici.
Avere l’accortezza di non fumare immediatamente prima della poppata può essere utile per limitare il livello di sostanze dannose secrete con il latte materno.

 

L’abitudine al fumo di sigaretta durante l’allattamento riduce il contenuto di acidi grassi polinsaturi a catena lunga n-3 (LC-PUFA) (DHA) nel latte materno. 

Il latte nell’alimentazione della nutrice La correlazione tra consumo di latte da parte della nutrice e lo sviluppo di allergia alle proteine del latte vaccino nel bambino è molto descritta vari studi.

 

L’indicazione di evitare il più possibile di esporre il lattante agli allergeni (in particolare la lattoglobulina) è parzialmente confermata da altri studi più recenti .

 

Va sfatato il mito che più latte si beve e più se ne produce e che quantitativi di latte corrispondenti alla raccomandazione per le donne che non allattano sono adeguati anche per la donna che allatta.

 

In altri termini latte e latticini devono essere presenti nella dieta della nutrice con la stessa frequenza e quantità che è consigliata per la donna che non allatta; vanno evitati eccessi di assunzione che non servono e possono essere un fattore di rischio per l’insorgenza di allergia al latte nel bambino 

 

Quanto bere?

La produzione di latte è un fenomeno metabolicamente oneroso anche in termini di consumo di acqua.
La raccomandazione è dunque di bere a sufficienza assecondando la sensazione della sete cercando anche di anticiparla, come del resto si suggerisce in altre condizioni fisiologiche.

L’acqua resta l’alimento migliore per garantire il bilancio idrico.  

 

 

L’apprendimento dei sapori attraverso la dieta materna durante l’allattamento

La prima esperienza gustativa avviene ancor prima della nascita.

 

Durante la gestazione, il feto, attraverso il liquido amniotico, è esposto a molteplici esperienze sensoriali che, sostanzialmente, dipendono dalla dieta materna.

 

Nell’utero materno il feto inala e ingoia quantità rilevanti di liquido amniotico e con esso glucosio (dolce), aminoacidi (umami), composti volatili (aromi).

 

Lo sviluppo funzionale dei sistemi gustativo e olfattivo inizia, infatti, già nel primo trimestre di gravidanza, per raggiungere la piena maturità al termine della gestazione.

 

L’apprendimento del gusto inizia quindi nel grembo materno, dove si creano le basi per lo sviluppo delle preferenze alimentari. Alla nascita i bambini mostrano una preferenza innata per il gusto dolce, presumibilmente perché legata alle proprietà nutritive degli zuccheri, mentre rispondono sfavorevolmente ai gusti amaro e acido.

 

Le sostanze amare sono in genere sgradite ed evitate perché segnalano la presenza di potenziali composti tossici, seppure con il tempo si apprezzano molti alimenti dal gusto amaro (es. caffè, tè, birra, verdure amare). Il neonato manifesta la sua risposta edonistica al gusto dolce con espressioni di soddisfazione quali, il sorriso, il succhiarsi le labbra e le dita, la protrusione ritmica della lingua, l’aumento della velocità della poppata e della quantità ingerita di latte.

 

Contrariamente, la risposta edonistica al gusto amaro è manifestata con l’espressione accigliata del viso, l’agitazione delle braccia e della testa, lo stupore, l’arricciamento del naso, e il rifiuto della poppata.

 

Alla nascita i neonati sono indifferenti al gusto salato, e la reattività a questo gusto sembra manifestarsi intorno al quarto mese di vita, mentre è stato rilevato un chiaro aumento del gradimento e della quantità ingerita di soluzioni acquose sapide nei bambini di 6 e 12 mesi.

 

Poiché le esperienze apprese nei primi mesi di vita possono modulare le preferenze per il salato sembra possibile intervenire limitando, già durante l’allattamento, i fattori che predispongono all’elevata assunzione di sodio, attraverso una dieta della madre che limiti il consumo di sale.

 

Oltre alle preferenze biologicamente innate, la maggior parte delle preferenze sensoriali si apprendono già nel periodo prenatale.

 

L’apprendimento dei sapori continua durante la fase dell’allattamento: il latte materno è veicolo di sostanze che impartiscono gusti/aromi al latte, tanto più variabili quanto più varia è la dieta della madre.

 

L’esposizione indiretta ricorrente attraverso il latte, agli aromi che derivano dagli alimenti, spezie e bevande ingerite o inalate (fumo) dalla madre, influenza il comportamento alimentare e le preferenze sensoriali del bambino, durante lo svezzamento e nei primi anni di vita.

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