Cos’è la trombofilia?
È una condizione caratterizzata da un’incrementata tendenza a sviluppare trombosi venose e/o arteriose, secondaria all’interazione di multipli fattori di rischio ereditari e acquisiti che comportano alterazioni del meccanismo fisiologico della coagulazione spostando l’equilibrio fra le forze emostatiche e quelle protrombotiche.
Epidemiologia
I difetti trombofilici non sono malattie, ma condizioni predisponenti alla trombosi, che presentano un rischio di complicanze differente a seconda del tipo di difetto e la cui individuazione può consentire una maggiore efficacia nell’approccio terapeutico del paziente affetto da trombosi, come ad esempio definire la durata ottimale della terapia anticoagulante ed individuare i soggetti a maggior rischio di eventi al fine di orientare strategie preventive più adeguate.
Sebbene l’introduzione sistematica di misure di prevenzione del tromboembolismo venoso (TEV) abbia ridotto, negli ultimi 15 anni, l’incidenza degli eventi tromboembolici, l’incidenza totale, la prevalenza e la mortalità per TEV rimangono alte. Il TEV è patologia complessa, le cui manifestazioni cliniche elettive sono la trombosi venosa profonda (TVP) e l’embolia polmonare (EP).
L’incidenza nella popolazione occidentale è circa 1 caso ogni 1000 abitanti all’anno e, nella pratica ospedaliera, il TEV è causa riconosciuta di circa il 12% dei decessi e contribuisce ad un ulteriore tasso di mortalità variabile dal 19 al 30% nei tre anni successivi alla dimissione.
Inoltre, poiché è in aumento l’età media della popolazione, l’incidenza di TEV aumenta conseguentemente. Il TEV è la terza causa di morte cardiovascolare, subito dopo la cardiopatia ischemica e l’ictus cerebrale ischemico.
Trombofilia ereditaria
Tendenza, geneticamente determinata, allo sviluppo di malattia tromboembolica venosa che in modo caratteristico insorge in giovane età (< 50 anni), si manifesta senza una causa apparente e ha tendenza a recidivare. Le cause di trombofilia ereditaria includono:
- Mutazioni Genetiche: Le più comuni sono le mutazioni del fattore V di Leiden e del gene della protrombina (G20210A)
- Deficit di inibitori fisiologici: Proteina C, Proteina S e Antitrombina III
La maggior parte delle alterazioni trombofiliche sono congenite, alcune estremamente rare nella popolazione generale come, ad esempio i deficit di ATIII (prevalenza 0.02%), altre invece più frequenti come la resistenza alla proteina C attivata (Fattore V Leiden), pari a circa il 5% Il loro peso clinico, come condizione predisponente alla malattia tromboembolica, è molto variabile: le condizioni più rare risultano più gravi, mentre accade il contrario per quelle di riscontro più frequente.
Le mutazioni a carico dei geni del Fattore II, Fattore V conferiscono, ai soggetti portatori, una maggiore suscettibilità allo sviluppo di eventi trombotici, specie se associate tra loro o a fattori ambientali (fumo, obesità, diabete, ipertensione arteriosa).
Inoltre, la presenza di mutazioni in eterozigosi o omozigosi a carico di uno o più di questi geni rappresenta un fattore predisponente all’aborto spontaneo in gravidanza. La maggior parte dei difetti trombofilici si trasmette secondo una modalità autosomica dominante (la mutazione di una sola copia del gene è sufficiente a determinare i segni della malattia) a penetranza incompleta (non tutti i portatori del gene mutato sviluppano la malattia).
La probabilità di un individuo affetto di trasmettere alla progenie la medesima alterazione genetica è del 50%, indipendentemente dal sesso del nascituro.
Fattore II – Gene della protrombina (G20210A)
Il Fattore II della coagulazione (protrombina) svolge un ruolo chiave nella cascata coagulativa in quanto, dopo essere stato attivato a trombina, induce la trasformazione del fibrinogeno in fibrina, consentendo quindi la formazione del coagulo. La mutazione puntiforme G20210A del gene codificante per il Fattore II si associa ad un aumento dei livelli plasmatici di protrombina funzionale con conseguente aumentato rischio di eventi trombotici.
La variante G20210A ha una frequenza genica dell’1,0-1,5%, con una frequenza degli eterozigoti del 2-3%. L’omozigosi è rara. I soggetti eterozigoti per questa variante presentano un rischio aumentato di circa 3 volte rispetto ai non portatori di sviluppare una trombosi. Tale rischio è ulteriormente aumentato in presenza di altre condizioni di suscettibilità, quali diabete o assunzione di contraccettivi orali.
Fattore V Leiden
Il Fattore V attivato è un cofattore essenziale per l’attivazione della protrombina (fattore II) a trombina e svolge, quindi, una azione pro-coagulante. Tale effetto è fisiologicamente inibito dalla proteina C attivata. La mutazione puntiforme G1691A nel gene del Fattore V, definita variante di Leiden, conferisce una maggiore resistenza all’azione della proteina C, con conseguente riduzione della velocità di degradazione del fattore V, ipercoagulabilità ed effetto predisponente alla trombosi.
La variante di Leiden ha una frequenza genica dell’1,4-4,2% in Europa con una frequenza dei portatori in eterozigosi in Italia pari al 2-3%. La condizione di omozigosi per tale variante ha invece una incidenza di 1:5000. Gli individui eterozigoti per la variante di Leiden hanno un rischio 8 volte superiore di sviluppare una trombosi venosa rispetto ai non portatori; gli individui omozigoti hanno invece un rischio aumentato di circa 80 volte.
Il rischio di eventi trombotici è inoltre ulteriormente aumentato in presenza di altre condizioni predisponenti, quali la gravidanza, l’assunzione di contraccettivi orali (rischio aumentato di 30 volte negli eterozigoti e di alcune centinaia di volte negli omozigoti), gli interventi chirurgici e di altri disordini trombofilici ereditari o acquisiti, quali deficit di proteina C, deficit di proteina S e deficit di antitrombina.
In gravidanza la condizione di eterozigosi per la variante di Leiden è considerata predisponente all’aborto spontaneo e ad alcune complicanze gravidiche, quali pre-eclampsia, difetti placentari, ritardo di crescita intrauterina, sindrome HELLP (emolisi, elevazione enzimi epatici, piastrinopenia).
Antitrombina III, Proteina C e Proteina S
Tre principali inibitori fisiologici della coagulazione (anticoagulanti naturali). I loro difetti genetici vengono trasmessi come caratteri autosomici. Questi sono regolatori fisiologici della coagulazione, un loro deficit genetico aumenta il rischio di coaguli.
Antitrombina (AT III)
È una glicoproteina sintetizzata dal fegato, possiede attività inibitrice delle serin-proteasi ed è, quindi, capace di inattivare trombina ed altri fattori attivati della coagulazione (IX, X, XI, XII). La sua attività inibente è potenziata dall’eparina. Carenza di ATIII aumenta significativamente il rischio di trombosi venosa. Nei casi di deficit grave, i pazienti possono manifestare trombosi durante l’infanzia.
Proteina C
La proteina C è una proteina vitamina K-dipendente che, una volta attivata (APC), svolge un ruolo cruciale nell’inattivazione dei fattori V e VIII della coagulazione, riducendo così la produzione di trombina e prevenendo la formazione di coaguli. La carenza porta un aumento del rischio di trombosi venosa profonda ed embolia polmonare.
Proteina S
La proteina S è un cofattore essenziale per la proteina C attivata. Esiste in due forme nel plasma: libera e legata alla proteina C4b. Solo la forma libera è attiva e funge da cofattore nella degradazione dei fattori V e VIII. La carenza porta un aumento del rischio di trombosi venosa.
La carenza di uno di tali inibitori allo stato omozigote è incompatibile con la vita; i neonati sviluppano, poche ore dopo la nascita, una grave forma di coagulazione intravascolare disseminata (porpora fulminante) che ne provoca la morte. La carenza allo stato eterozigote comporta lo sviluppo di uno stato protrombotico, evidente già in età giovanile e ancor più in età adulta, in situazioni di particolare richiesta funzionale, quali interventi chirurgici, gravidanza e parto. Le trombosi riguardano prevalentemente il sistema venoso (TVP e EP).
Chi dovrebbe sottoporsi al test?
Si consiglia di non eseguire lo screening sulla popolazione generale ma di orientarlo sui soggetti che presentano le seguenti condizioni:
- Età di comparsa dell’evento trombotico entro i 50 anni
- TEV idiopatico, TEV ricorrente
- Trombosi venose superficiali recidivanti, trombosi in sedi non usuali
- Soggetti asintomatici con familiarità positiva per eventi tromboembolici ricorrenti
- Familiari di primo grado di soggetti portatori di trombofilia eredo-familiare
- Associazione trombosi/perdita fetale
- Necrosi cutanea indotta da anticoagulanti orali
- Porpora fulminante neonatale
Test consigliati per lo screening della trombofilia
Per uno screening della condizione di trombofilia, da eseguire sui soggetti prima identificati, risultano validati da studi epidemiologici, e pertanto sono consigliati, i seguenti test clinici:
- Mutazione G20210A gene protrombina
- Mutazione G1691A gene fattore V (Leiden)
- Proteina C, Proteina S, Antitrombina III
- Ricerca di Ab anti-fosfolipidi tipo Lupus Anticoagulant (LAC)
- Ab Anti cardiolipina
- Ab anti Beta2 glicoproteina 1
- Test Aggiuntivi: APCR, Omocisteina, Tempo di Protrombina (PT), Tempo di Tromboplastina parziale attivato (aPTT), Fibrinogeno, D-dimero.
Condizioni cliniche opportune per l’esecuzione dei test
Esistono condizioni cliniche per le quali non è opportuno eseguire le indagini. A differenza dei test genetici, i test funzionali per la trombofilia sono spesso alterati in modo aspecifico nelle seguenti condizioni:
- Durante la fase acuta di un evento trombotico, venoso o arterioso
- Durante la terapia anticoagulante
- Durante malattie intercorrenti acute
- Durante la terapia estroprogestinica
- Durante la gravidanza
- In presenza di epatopatie
Quando è indicato eseguire i test
- Dopo 3 mesi dall’evento tromboembolico venoso/arterioso
- Dopo almeno 48 ore dalla sospensione di eparina e derivati
- Dopo almeno 15 giorni dalla sospensione della terapia con AVK
- Dopo almeno 5-7 giorni dalla sospensione dei DOAC
- Dopo almeno 2 mesi dal parto
- Dopo almeno 1 mese dalla sospensione di una terapia estro-progestinica.
Perché è importante lo screening per la trombofilia?
- Prevenzione delle recidive tromboemboliche: Riduzione del rischio di nuovi eventi tromboembolici
- Personalizzazione della terapia anticoagulante: Ottimizzazione della durata e tipo di terapia
- Valutazione del rischio in situazioni particolari: Pianificazione di gravidanza, uso di contraccettivi orali, interventi chirurgici
- Informazione familiare: Screening e misure preventive per i familiari
- Prevenzione delle complicanze in gravidanza: Riduzione del rischio di pre-eclampsia, aborti spontanei, ritardo di crescita intrauterina
- Riduzione della morbilità e mortalità: Miglioramento della qualità di vita e riduzione delle complicanze gravi.
La trombofilia rappresenta una sfida clinica significativa a causa della sua complessità e delle sue conseguenze potenzialmente gravi. Un’approfondita conoscenza delle basi genetiche e acquisite della trombofilia, insieme a un’attenta valutazione clinica, è fondamentale per la gestione efficace dei pazienti a rischio.
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